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The Monroe aprono il concerto del chitarrista di Nick Cave

The Monroe Speak

The Monroe al disco d'esordio

Due voci, due chitarre fatte per incontrarsi e contaminarsi. I The Monroe sono Maurizio Chiaro e Andrea Fornari, cinquant’anni in due. L’uno vive a Manchester, l’altro a Torino. Nonostante siano cresciuti a San Mauro e abbiano addirittura frequentato lo stesso liceo non si erano mai presentati e conosciuti. Prima di due anni fa. Abbiamo intervistato Andrea Fornari a pochi giorni dall’uscita di “Speak” il primo disco del duo (le batterie sono di Andrea “Zanu” Zanuttini, lo studio grafico è di Chiara Gobbo). Seguili su Facebook.

Come è nato il nome del gruppo?
Il nome? Monroe? È orecchiabile, suona bene e poi fa pensare a Marilyn: quindi a qualcosa di bellissimo.

Condensa in una frase il valore dei The Monroe?
Uniamo due modi di fare musica e cantare molto diversi che stanno bene insieme.

Cosa fate nella vita oltre a suonare?
Io mi sto laureando in Architettura a Torino e impartisco lezioni private di chitarra, basso e musica d’assieme. Maurizio vive e lavora a Manchester da qualche anno.

Quando avete iniziato a suonare insieme?
Ancora non ci conoscevamo quando ci siamo incontrati a casa di Zanu, un amico comune con il quale condividiamo la passione per la musica. Così abbiamo iniziato a chiacchierare, poi a suonare e cantare. E da quella serata, quasi due anni fa credo, è scattato tutto…

Cosa è scattato?
Io sono rimasto folgorato dalla sua voce e lui mi ha apprezzato come chitarrista. In così poco tempo è nato un rapporto molto bello.

Ed eccovi qui, in duo, dopo alcune esperienze soliste… Quanto tempo trascorrete insieme?
La verità? Molto poco. Maurizio vive in Inghilterra e trascorre pochi periodi in Italia. A settembre 2010 abbiamo iniziato la collaborazione in maniera più seria in qualche esibizione dal vivo. Inizialmente si limitava tutto a una collaborazione live, poi abbiamo iniziato a capire che dovevamo unire i nostri modi di fare musica.

La tecnologia spesso annulla le distanze ma il disco come, dove e in quanto lo avete registrato?
Lo abbiamo chiuso in sette giorni, a Giaveno. Condividendo tutto per una settimana ci siamo contaminati a vicenda musicalmente, è stato stancante, impegnativo, bellissimo. Le batterie, invece, sono di Zanu, lui conosce molto bene tutti e due e ha saputo muoversi alla perfezione tra le nostre idee: è stato davvero professionale, impeccabile. La grafica è di Chiara Gobbo, quando ho visto i suoi lavori sono rimasto davvero colpito, le ho proposto la cosa e ha subito accettato. Sono entrambi sanmauresi.

Quali sono le vostre influenze?
Cerchiamo di essere originali, ma ciò che ascolti o hai ascoltato per anni ti entra dentro per forza di cose. Diciamo che ognuno di noi attraversa secondo me delle fasi musicali, ora scopro di continuo nuovi artisti incredibili e mi piace “consumare i loro lavori”, anni fa ero molto più chiuso e ottuso, ero ancorato agli assoli di Hendrix e alla voce di Robert Plant, alle melodie dei Beatles e ai passi di Mick Jagger. Poi col tempo mi sono aperto a nuove esperienze di ascolto superando i pregiudizi iniziali che non dovrebbero mai esserci quando si sta per ascoltare una canzone. Anche grazie alle persone che ho conosciuto, compreso Maurizio che apprezza da sempre la scena alternativa italiana come Afterhours e Verdena, ora apprezzo di tutto, magari non proprio tutto. Ultimamente ammetto di aver ascoltato Lady Gaga, ad esempio. Di recente mi è stato detto: “Se una canzone ti fa battere le mani o muovere il culo è riuscita bene”… Io non la vedo così ma la frase mi piace molto e mi ha fatto pensare molto. Nell’ultimo periodo la persona, l’artista che più ci ha influenzato e stravolto il modo di ascoltare la musica e concepirla è senz’altro Bon Iver, opinione di entrambi credo.

Pronti a salire di nuovo sul palco e a presentare il nuovo disco?
Il grande giorno dell’uscita del disco coincide con una data molto fortunata: il 21 ottobre a El Barrio, a Torino, quando apriremo il concerto di Hugo Race, primo chitarrista di Nick Cave.

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