La faccia oscura del Sogno Warwickiano
L'aura incantata del campus
Ed è già ora di ripartire. L’epifania, che tutte le feste si porta via, fa traslocare anche me e il mio ingombrante bagaglio per trasportarmi nuovamente, dopo la breve pausa natalizia in Italia, in quel di Coventry, dove mi attendono le lezioni del secondo semestre e gli esami di metà anno.
Appena scesa dall’aereo a Caselle, ero terrorizzata al pensiero di cosa avrei trovato giunta in Italia. Sembra incredibile, ma mi sono resa conto che ho una capacità di adattamento piuttosto spiccata, mi abituo presto a luoghi nuovi, tanto da dimenticare quelli nei quali ho vissuto per 20 anni. É stato come un bagno ghiacciato: mi ha riportato alla dura realtà. E quando la gente sale sul pullman senza biglietto, i treni tardano di ore e le strutture universitarie crollano da ogni parte, ti senti a casa.
Perchè in fondo tutto questo un po’ ti è mancato. Ti sono mancate le ore agli sportelli senza risolvere alcunché, ti sono mancati i soliti “italiani medi” che cercano di saltare la coda, o i tamarri che urlano in mezzo alla strada. Dopo un po’ certo ti danno sui nervi le aule sempre pulite e immacolate, la gente che ringrazia gli autisti, i treni che arrivano sempre con 5 minuti d’anticipo.
Ma il vero shock è stato uscire dal campus. Nell’era della tecnologia certo ci si tiene in contatto in mille modi più uno, e tra facebook, skype, twitter, i giornali online e le repliche dei tg su you tube, alla fine le notizie ti arrivano. Ma non è la stessa cosa. Perchè l’Università di Warwick è un po’ come il Truman Show. Tutto è controllato, monitorato, organizzato. Un’isola felice in cui non può accaderti niente di brutto, in cui le guerre, la crisi economica, le sciagure e le tragedie che contraddistinguono la vita reale sono relegate all’esterno, in un altrove geograficamente remoto. Una bolla ovattata che anche i fatti più tremendi che accadono “là fuori” intaccano solo superficialmente.
Dunque anche disintossicarsi dal terzo miglior college del Regno Unito a volte è necessario. E il risveglio da questo torpore è brutale, ma l’evasione da questa prigione dorata è un toccasana per la propria identità. Ti apre gli occhi al reale e ti precipita inesorabilmente dal Paradiso Terrestre all’inferno terreno, riportandoti tra disoccupazione, futuri incerti, speranze infrante, disillusione, crisi economica, politica, culturale e sociale. Ma una sana via di mezzo esisterà? Una realtà in cui ci sia più rispetto, più lavoro, meno corruzione, ma senza che tutti sembrino usciti direttamente dalla famiglia felice di uno spot pubblicitario degli anni 50? E con questo quesito ahimè irrisolto mi accingo a fare le valigie.
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