“Pensavo che l’Italia mi sarebbe mancata di più, invece…”
Vittoria sorridente nel suo nuovo campus universitario a Warwick Foto di Vittoria Caron
Sono trascorse due settimane dal mio arrivo a Warwick ma mi sembra di essere qui da una vita. È una strana sensazione, perché invece credevo che mi sarebbe mancata di più l’Italia. Ogni giorno entro sempre più in sintonia con questo posto. Tutto qui è più semplice. A cominciare dalla lingua. L’italiano richiede troppe formalità, il lei, il voi, il tu, in inglese esiste solo il tu. Facile. E credetemi, da italiana, poter dare del “Tu” ad un professore è un’esperienza da provare.
Ma vogliamo parlare della burocrazia? Qui, non solo esiste personale apposito che si assicura che tu non stia perdendo tempo nella coda sbagliata e ti indirizza verso quella giusta, ma quando allo sportello informativo dici che hai un problema, loro si scusano pure: incredibile. E non ci vogliono ore, giorni, settimane per avere un documento. E sono tutti calmi. E disponibili. E gentili. Incredibile.
E ovviamente gli inglesi sono famosi per la loro organizzazione maniacale. Qui tutto è stabilito nei dettagli, niente lasciato al caso. Per intenderci, non esiste fare le cose “all’italiana”. Qui vige il diritto consuetudinario, il che significa che la legge è quella e va rispettata. Non si fanno eccezioni, perché se la fanno per te, dovrebbero farla anche per altri, e si rompe il sistema. E quando il sistema è rotto, è irreparabilmente rotto. Quando impari questo sei a cavallo.
Ma poi la gente. E’ così socievole, così aperta. Essendo Warwick una scuola internazionale, si incontrano ragazzi provenienti da ogni parte del mondo, e questa forse è la cosa che preferisco. Conoscere persone così diverse da te può solo arricchirti. L’unico problema è la comunicazione. Parti dall’Italia con la presunzione di saper parlare un buon inglese, poi arrivi qui e ti ricredi. Specialmente quando hai a che fare con i purosangue inglesi. Loro sono una razza a parte. Sono consapevoli di essere dei privilegiati e come tali si comportano. Loro non parlano, biascicano. Il loro inglese è così terribilmente posh da dare sui nervi. Soprattutto perché tu ti senti una stupida a non capirli. E loro non fanno nessuno sforzo per farsi capire.
Altro punto in meno per l’Italia, le aule di lezione. Qui sembra non essere affatto difficile tenerle pulite, né scrivere delle indicazioni comprensibili su come raggiungerle. E nessuno spintona per entrare in classe, si mette umilmente in coda e aspetta il suo turno. Sei arrivato dopo? Entrerai dopo.
In tutta sincerità, devo dire che, da buona italiana, a volte mi riesce un po’ difficile rispettare tutte queste regole. A volte la tentazione di prendere la scorciatoia c’è, ma ho sei mesi di tempo per entrare pienamente nel mood inglese.
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