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Stanchi di essere giovani a tempo indeterminato

Stanchi di essere giovani a tempo indeterminato

Celebre scena sullo sfruttamento dei lavoratori tratta da Metropolis (1927), film muto di Fritz Lang

Chiacchierando con molti ventenni laureati da almeno un anno chiedo sempre cosa stiano facendo adesso. Adesso. Sì perché prima c’era la scuola poi l’università, magari tra un tirocinio e uno stage. E dopo? Dopo è tempo di cercare e ci si accorge che il termine offerta non indica chi si propone per lavorare, mettendo a disposizione della società le proprie conoscenze, ma il contrario. L’offerta è di chi cerca forza lavoro – quasi fosse un favore e non una necessità dell’azienda o ente di turno – e in molti casi scarseggia.

Di recente ho rivisto amici senza lavoro. Erano usciti con voti alti da facoltà come Economia, Lettere e Medicina. Avevano iniziato con grandi speranze l’esperienza post laurea, alcuni avevano già lavorato durante gli studi, altri avevano trovato “il posto” subito dopo. Ma a tempo determinato e quando arriva la fatidica data del rinnovo e il rinnovo non c’è… Le alternative quando ci sono prospettano stipendi ridotti o “rimborsi spese” per uno o tre anni con la speranza di “carriera” futura. Nel frattempo può accadere di tutto: anche la chiusura di un ramo di azienda.

Recenti dati dell’Istat puntano i riflettori sul lavoro nero. Secondo il Rapporto “nel 2000 il sommerso è ammontato tra i 216.514 e i 227.994 miliardi, con una incidenza sul Pil tra il 18,2 e il 19,1%. Nel 2008, il sommerso si è attestato tra i 255.365 e i 275.046 miliardi, cioè tra il 16,3% e il 17,5% della ricchezza prodotta”: cinque volte la manovra finanziaria. Insomma quando l’offerta è poca si accetta di tutto.

Tra le reazioni più in voga ultimamente tra gli over 50, di fronte alle prime tragedie professionali di un ventenne, ce n’è una che suona più o meno così: “Quanti anni hai? 25? Ma non ti preoccupare, sei giovane, hai tutto il tempo davanti per trovare qualcosa…”. Immagino succedano cose simili anche a precari di 30 e 35. Peccato che nel frattempo i progetti e la qualità della vita siano stati nettamente ridimensionati da quel “qualcosa” che non c’è o che vale poco.

I giovani non sono senza colpa. C’è chi non si accontenta, chi non ha voglia di imparare un mestiere faticoso anche se redditizio e chi perde tempo stando al gioco. Altri si mettono in coda per un posto all’università, pagando per entrare ad un test d’ingresso che permetterà a un decimo dei candidati di avere un posto (a pagamento) tra i banchi della facoltà ma che non sempre darà accesso al mondo del lavoro. Eppure si passa quasi tutti di lì.

Mi è capitato di ascoltare “Noi fuori” canzone dei Ministri, gruppo indie italiano, e mi rattrista constatare come alcune parole corrispondano alla realtà. Purtroppo il rischio di questa generazione è quello di tendere ad affermarsi per negazione o comunque con accezioni negative. Mi spiego meglio. Io sono “anti” questo e quello, io sono “contro” o “alternativo” (a cosa?), “io non sono come voi” insomma. Non possono mancare gli aggettivi più gettonati come: “precario”,”a tempo determinato” e, appunto, “fuori”. Mi soffermerò su poche frasi della canzone: “Noi fuori dalle liste, dai concorsi, (…), dalle condizioni dei finanziamenti, dai cimeli della brava gente, dai congressi, dalle mance, dai sondaggi di opinione, dagli asili e dalle pensioni. Noi fuori non sappiamo cosa fare“. Una moderna canzone di denuncia che suona come un campanello d’allarme, un appello. Da notare nel video anche le scritte in sovraimpressione.

La ricetta perfetta non esiste. Tutti possiamo contribuire a costruire un futuro, o meglio un presente migliore. Come? Aggiornandoci e non stancandoci di chiedere informazioni, scambiandoci consigli, condividendo esperienze e sacrificando un po’ del nostro tempo per trasmettere agli altri quanto sappiamo o abbiamo imparato del burocratese che ci tiene “fuori”. Un altro passo avanti sarebbe smettere di fare pellegrinaggi nella fontana della giovinezza: a 40 anni, piaccia o no, non ci si può considerare giovani al pari di un ventenne, e soprattutto essere giovani non significa non poter avere un contratto normale, una possibilità, perché il rischio che i ragazzi e le ragazze non sappiano cosa fare va abbassato e in fretta.

Quando è possibile non bisogna accettare di essere sfruttati, dal lavoro nero agli orari da Metropolis (in foto), perché altrimenti la ruota continua a girare ma gli ingranaggi si arrugginiscono in fretta.

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